Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
8 aprile 2011 5 08 /04 /aprile /2011 07:26

Qui siamo su un altro piano. Il giovane Bajani, già autore de: “MI SPEZZO MA NON M’IMPIEGO” (Einaudi molto ben recensito e lettura promettente), è bravo.

Il materiale da cui parte è una perizia di incidente sul lavoro. Un incidente grave, mortale che avviene a nove metri di altezza dove in pratica il corpo dell’Operaio imbianchino vittima della folgorazione si “inceppa” “in un punto che non é né in cielo né terra”. In pratica una morte che non sta né in cielo né in terra… Ma attenzione, qui non c’è svolazzo letterario né fiction, non c’è polemica e non c’è ironia, qui c’è la scrittura. Una corrosiva, creativa, sottile e umana tecnica lessicale da scrittore evoluto. Interessante perchè non c’è particolare vis polemica nel testo, infatti il giovane scrittore non se la prende e non accusa nessuno, ma è come se lo facesse. E si induce nel lettore un rifiuto emotivo per una morte che trova tutta la sua drammatica assurdità e incomprensibilità nello sguardo del giovane Tirocinante. Costui lo guarda dal basso all’alto e chiama, lo chiama stupito, forse inebetito e così nasce la consapevolezza della morte sul lavoro. Semplice e drammatico.

E’ un testo attraverso il quale l’autore si rivolge al morto gli da de Tu: “Tu non sei morto per sbaglio, ma poi alla fine non c’è nessuno che muoia a ragione.” L’autore però non lo conosce e può rivolgersi a lui solo in congettura, come si farebbe con un nuovo vicino di casa del quale non si sa niente ma si cerca di capire che tipo sia interpretando i suoi rumori dall’altra parte del muro.

E il muro qui è la perizia stessa: una barriera che vieta, separa e in definitiva serve proprio a non farsi capire se non per congettura.

 

Ho apprezzato molto il testo di Bajani perché in qualche modo rende giustizia. C’è una sorta di appagamento, una sorta di paradossale contropartita letteraria che controbilancia l’effetto muro della perizia legale. E’ una morte senza senso agli occhi del giovane che la vede, ma quella morte trova qui un nuovo senso agli occhi del lettore. Grazie alle parole di Bajani.

 

Cosa mangiare ?

Qui bisogna fare i seri. Ci vuole qualcosa di autentico, direi qualcosa che dia un senso di rispetto, solennità, o meglio ancora dignità. Ecco: dignità è la parola che mi pare più appropriata; la dignità del lavoro sia per questa morte che per il tema del lavoro in generale. E allora prendiamo radici. Prodotti della terra che bisogna cercare, amare e curare e poi, quando ti danno il gusto, bisogna saper apprezzare.

Dalle mie parti i boschi ci offrono molte di queste cose: “carletti”, bruscandoli, asparagi selvatici, ma anche castagne, frutti di bosco, come i mirtilli e poi, soprattutto i funghi. Ma non voglio avventurarmi in un terreno che non è il mio. Ci sono autori straordinari, pensiamo solo a Rigoni Stern, che hanno saputo descrivere l’atmosfera intensa che è connessa con questi cibi, con la loro ricerca e il loro significato, se volgiamo anche antropologico. Per cui mi limito a postare questa foto, che ritrae il momento esatto in cui lo “sparase” viene colto, tagliato alla radice dove c’è la parte più buona. Ecco, associo questa immagine al racconto perché in quell’istante non è una vita che cessa, ma un cibo che nasce.photo Sparase

 

Cosa ascoltare?

La prima cosa che mi viene in mente è il Bolero, di Ravel. Scontato, si dirà; quello è talmente bello e solenne che può stare dappertutto. E’ vero, ma qui ha un legame in più: rende giustizia. Se si vuole lascir stare i motri sacri si può allora ascoltare “E canterà” scritta da Bepi De Marzi per i suoi Crodajoli. In entrambi i casi, a metà del pezzo, quando cambia la tonalità e prende suono la parte più intensa del crescendo, c’è un trasporto verso una dimensione superiore ove ci si accorge che tutto torna e anche la parte che si era ascoltata prima trova un nuovo significato, un “senso” migliore. Ecco, è questo il senso, un senso di dignità e pienezza, che, nel mio mondo emotivo merita chi muore sul lavoro.

Ed è appunto il senso che si può trovare in questa lettura di Bajani.

 

 

Condividi post
Repost0
5 aprile 2011 2 05 /04 /aprile /2011 08:14

lavoro-da-morire.jpgEinaudi nel 2009 ha pubblicato "LAVORO DA MORIRE", una raccolta di racconti sul tema del lavoro e la sua sicurezza. Alcuni mi sono piaciuti molto, altri un po' meno.

 

Tullio Avoledo, “IL PESCE GRANDE MANGIA IL PESCE PICCOLO” (2009)

Il breve racconto di quindici pagine è narrato da un padre cinquantenne del 4 giugno 2018. Il mondo è in piena crisi economica a causa dei cinesi che hanno vinto la battaglia economica e spiazzato le piccole imprese. La nuova generazione ha una crisi molto tosta da affrontare e la vita del futuro avrà decisamente meno benessere di quella dei padri. Il PIL non cresce da dieci anni i piccoli imprenditori sono figure scomparse e quasi leggendarie, al punto che si fanno interviste che ne ricostruiscono il passato. Mancano le lamette da barba perché nessuno le produce più e il narratore ne usa una, l’ultima, che non essendo più affilata fa rimpiangere l’epoca della opulenza e lascia pelacci ruvidi in giro per il mento. La metafora vuole indicare il livello di crisi economica che si è raggiunto, e forse allude al fatto che i cinesi di barba ne hanno poca e non sono esperti di lamette.

Il tema quindi riguarda il lavoro del piccolo imprenditore artigiano come specie eroica, ma estinta, e viene trattato senza ironie, con spirito malinconico e cinico, un po’ fantascientifico. Anzi fantatecnologico perché descrive complicati sistemi di rielaborazione dell’immagine il cui uso ormai ha fatto perdere il gusto dell’identità individuale, il gusto di mostrare la faccia.

L’accenno al tema della sicurezza sul lavoro sta nell’ultima pagina del racconto e mi fa sospettare che tutto sommato sia stato aggiunto senza far parte dell’ispirazione originaria. Un’ispirazione molto più centrata sull’impresa famigliare, in particolare sulla figura dell’artigiano piccolo imprenditore (tipo nord est e Lombardia) con l’assillo delle tasse, dell’INPs , ma anche con tanta voglia di fare e la consapevolezza del valore del welfare e dell’associazionismo. Valori che andranno perduti con la globalizzazione.

 

Un testo scorrevole, centrato in gran parte sull’intervista. Le pagine dell’ intervista contengono materiale che potrebbe essere assolutamente vero e attuale, ma che viene trasformato in materiale narrativo da un escamotage semplice, quasi infantile, ma tipicamente letterario: la post-datazione.

 

L’autore ha anche scritto e pubblicato almeno altre quattro opere, tra le quali L’ELENCO TELEFONICO DI ATLANTIDE (2003)

 

 

Cosa mangerei con questo racconto.

Asparagi. Di stagione, tritando molto il gambo e salvando le punte, che aggiungerò dopo, in un buon risotto preparato con la pentola a pressione. Il soffritto direttamente in pentola, lo preparerei con meno cipolla e starei leggero col burro. Anzi, considerando che alla fine sarà dominante il profumo terroso, metterei niente burro e solo olio d’oliva che così si rosola più lentamente. Poi, prima di aggiungere brodo fino a copertura e chiudere la pentola, un angolino di dado al glutammato invece del sale. Quattro minuti di sbuffo quindi lascio sfogare e apro la pentola per il controllo di sapidità. Se del caso aggiungo un po’ di sale fino, ma attenzione: niente formaggio grattugiato, altrimenti ci freghiamo proprio il profumo di punta d’asparago. E a questo punto, tiepido e leggermente rappreso, via! In tavola, con un calice di Pinot Nero vivace, dei colli piacentini.

 

Che musica ascolterei.

Non so se è appropriato, ma penso a Puccini. Un bel dì vedremo, levarsi un fil di fumo… e magari canticchiarla facendosi la barba. Ma a proposito… io le lamette non le uso più da oltre vent’anni. Allora, pensando a questo racconto, è proprio il caso di dire: “Alla faccia” !!

 

Condividi post
Repost0
31 marzo 2011 4 31 /03 /marzo /2011 14:23

30.3.2011

L’amour di Cherubini

 

Cherubini-1.jpg

Il decollo è un po’ lento, pesantino, ma poi il romanzo vola alto. Vola alto e l’ultima parte è decisamente buona. All’inizio l’ho trovato anche opaco e diluito, poi, quando ho cominciato ad intuire la “fabula”, ovvero dove la storia va, o può andare a parare, ho capito che era il romanzo giusto. Avevo letto la recensione consultando Vibrisse, il sito di Mozzi, intuendo che l’idea narrativa era connessa con la clonazione. E questo è un tema che scatena le mie fantasie e curiosità dietrologiche da almeno una decina d’anni; quindi, è il caso di dire “era ora”.

 

Perché mi è piaciuto.

Principalmente perché sottintende l’ipotesi che la clonazione umana sia una realtà già esistente e operante tra noi da molto tempo e che ciò avvenga in un contesto di copertura e segretazione. In secondo luogo perché affronta questo tipo di storia senza ricorrere agli stereotipi degli scienziati pazzi e supereroi. Non ‘cè il registro fantascientifico, ma registro romantico. C’è un amore wagneriano, mortale ed eroico, che si realizza nel desiderio di dominare la vita. Dove questo “dominio” è quello moderno della genetica. Se la genetica è il dominio della vita, qui essa è il fuoco che realizza il desiderio dell’eroe romantico. E lo fa nel tempo differito, gabbando la morte. E’ un po’ contorto, ma solo per come lo spiego io; invece Cherubini lo fa con efficacia e dolcezza a pagina novantasette dove scrive:

 

“Quello di vivere dopo la morte è un desiderio che si può corteggiare ma non realizzare: da esso dipende nella sua essenza il successo delle religioni, tra tutti i rimedi gli unici che promettano, ove si rispettino tutte le clausole del contratto di adesione, un qualche tipo di vita eterna. Cornelio Rufi [un personaggio che fonda la storia n.d.r.] e la sua compagna d’elezione non desideravano l’immortalità in questa vita, poiché non era in essa che avrebbero potuto unirsi. Desideravano piuttosto che questo accadesse in una vita successiva, ma corporea e su questa terra.”

 

Ecco, queste parole sono sufficienti a presentare il nocciolo del romanzo senza addentransi troppo e togliere al lettore il gusto della scoperta.

C’è quindi il “mistero”, cioè l’ingrediente narrativo che oggi come oggi va per la maggiore,(Dan Brown docet), e c’è la genetica, quell’oscuro campo di nuove curiosità che si prospetta inquietante  di fronte all’opinione pubblica moderna.

Ovviamente i miei giudizi sono solo valutazioni pragmatiche e assolutamente soggettive. Il mio non è un punto vista professionale, io non mi pongo il problema di valutare se ho letto un testo che vale la pena di editare o no, non mi pongo neanche la pena di valutare l’attendibilità scientifica, o l’originalità narrativa ecc. Mi pongo il problema di quanto questa lettura, le ore che vi ho dedicato, i soldi che vi ho speso, le emozioni che ho provato siano state spese bene. E qui andiamo sul sicuro. Bilancio positivo.

 

Cosa mangerei con questo libro.

Più che di mangiare qui si tratta di bere. Anzi chi apprezza il libro deve bere un preciso cocktail indicato dall’autore: si chiama proprio HISTOIRE D’AMOUR. 3 parti di succo d’arancia; 1 parte di brandy d’albicocca; 1 parte di vodka.

 

Dice l’autore alla fine:

 “ Qui finisce l’avventura di Cornelio Rufi … se a voi è piaciuto leggerla bevetevi un histoire d’amour  alla mia salute. A ma è piaciuto raccontarla.

 

A me è piaciuto leggerla, ma non ho il brandy d’albicocca. Bevo comunque alla salute di Paolo Cherubini una spremuta di arance alla vodka. 

Condividi post
Repost0
30 marzo 2011 3 30 /03 /marzo /2011 16:46

28.3.2011

Dunque, vediamo… cosa possiamo iniziare a leggere ora?

Dopo “XY” di Sandro Veronesi, solido e ben scritto, dopo “sangue di cane” di Veronica Tomassini, che spero vinca lo Strega, dopo Carlo Feltrinelli, Fasanella, Zornetta ecc. devo innanzitutto evitare che si accatastino i volumi da leggere. Anche perché in prospettiva una certa quota di tempo di lettura verrà sottratto alla carta dai kilobytes, i quali non hanno volume, e pur costituendo un fatto positivo per le mie librerie overflowed, tuttavia richiedono esattamente lo stesso tempo di lettura. Inoltre non hanno bisogno del negozio di libri e non offrono lo spunto per fare una passeggiata in centro col cane. Siamo sicuri di migliorare la nostra vita di lettori?

 passegiata in centro

 Mah, in ogni caso tra ePub, PDF e Account vari (DRM ecc.) anche questi cominciano a farsi strada nella memoria virtuale. Per il momento devo dire che attraggono meno dei volumi cartacei che nel frattempo si accumulano, e questo succede perché non li vedo se non li cerco, non stanno lì, davanti agli occhi con tutta la loro immanenza; ma li vedo solo se accendo l’eReader e questo non avviene spontaneamente, devo scegliere, decidere di farlo. E così gli eBook perdono la priorità di lettura. Bisogna dire però che lo fanno con classe, con discrezione non sono per niente invadenti. Insomma, non ti accorgi che li stai sacrificando. E non provi il conseguente senso di colpa.

 

Ma torniamo al punto, cosa leggo adesso? Se voglio rispondere all’obiettivo volumetrico devo scegliere tra “Identità alla prova” di Alice Andreoli, “Clonazioni” di Maurice Wegnez, saggistica, oppure proseguire con la narrativa approdando a “histoire d’amour” che nonostante il titolo è scritto in italiano da Paolo Cherubini. Ma c’è anche “Accabadora” della Murgia, anzi, accidenti! Questo l’ha già letto mia moglie e sta lì fermo da mesi…

Se invece voglio rispondere all’obiettivo della memoria virtuale allora devo accendere l’eReader e considerare una lunga lista di eBooks acquistati o scaricati gratuitamente e non ancora letti… eccoli qua, sono più di un centinaio: da “La vampa d’Agosto” di Camilleri a “L’arte della guerra” di Sung Zu, passando per altri testi che rappresentano appuntamenti mancati di lettura, come Follet per esempio, La cruna dell’Ago, i Pilastri della Terra ecc. Mostri sacri che se ammetti in compagnia tra amici di non aver letto fai la figura di quello che in un Carosello degli anni settanta andava al bar e chiedeva “un brandy”… eh no, non bisogna essere così generali nella scelta, bisogna chiedere quello giusto e qui ci vuole quello che crea un’atmosfera.

 

Approposito di brandy… attacchiamo Cherubini, viah!

Condividi post
Repost0
27 marzo 2011 7 27 /03 /marzo /2011 01:32

 

Ok, cari amici “zerocomments”, partiamo subito con un testo che scuote l'anima: “sangue di cane “ , scritto da Veronica Tomassini. sangue di cane - libro

Ovviamente non è un romanzo banale, come non lo saranno molti di quelli che leggeremo qui, ma anzi, è certamente una lettura d'assalto, uno scontro tra il lettore emotivo e un romanzo che non risponde ad un piano di marketing editoriale, ma ad un forte impulso narrativo, al bisogno di liberare un'anima dannata!

 

Qui l’autrice, una siciliana dagli occhi intensi e la seconda di reggiseno, mette in gioco il proprio essere e ci offre  il vissuto di una storia forte, vera, amara, piena di desiderio e dedizione, ma anche e soprattutto sangue, vomito, merda e marginalità esistenziale. Questi elementi si fanno strada parola dopo parola e ricompongono una storia sconclusionata, ma magnetica, la storia della narratrice con Sƚawek, polacco semaforista. Etilista.

 

Non entro nella fabula e non faccio nessuna recensione. Io racconto un’emozione. E qui l’emozione è forte, come quando i movimenti dei visceri interni non dipendono più dalla volontà, ma vanno da soli.

 

Cosa mangerei con questo libro.

Aglio. Un trito finissimo col prezzemolo pestato e cosparso sulla polpa di tre o quattro pomodori cui sono stati tolti i semi e le parti dure… Dopo averlo lasciato pipare per una buona oretta e mezza, durante la quale bisogna leggere le pagine 36 – 100, lasciamolo stare a fiamma spenta per un’altra mezz’ora.

Intanto si riflette. …Cazzo, che scene!…: da San Paolo apostolo, la mensa della Caritas e quell’oscuro parco di Siracusa dove sulla panca il tunisino Yurek strappa a Tereza “i soliti gemiti cavernosi”, fino alla casa ordinata, la recita del bambino… mah! Che storie…

A questo punto, poi quando l’acqua per la pasta comincia il bollore, bisogna scegliere: fusilli, penne, oppure … Sì! Qui ci vuole pasta del sud, profondo sud. Propongo pasta calamarata. Sì, anche se andrebbe meglio col pesce. Infine, per apprezzare, ma anche per sdrammatizzare un po’ suggerirei del vino appropriato: direi un nero d’Avola. Anzi meglio stapparlo subito, che così si ossigena.

Poi la storia continua. “Fiori nel fango” come scrive lei, e molto altro… ogni frase è un epitaffio. Sono parole incise nella pietra, anzi in un vissuto di pietra. Un vissuto di morte e resurrezione; e poi ancora morte… Ma una storia d’amore. Amore come si deve, non stereotipi holliwoodiani, o peggio brodini RAI di prima serata.

 

Poi si va avanti, nel pomeriggio, pennichella compresa, forse un po’ disturbata, e dopo cena. Notte fonda, fino alla fine, dove la giovane, la puttana d’Albania, pregherà il Suo nome ad ogni granulo del rosario.

 

Si potrebbe scrivere molto altro, volendo giocare al lettore psicoanalista si potrebbe scomodare il campo delle distrofie neurovegetative, cercare farmaci, ecc. Ma io sono  solo un lettore e non voglio avventurami tra le motivazioni inconsce che stanno alla base del testo narrativo, dico solo che devono essere state forti e soprattutto autentiche, e testimonio un’esperienza di lettura. 

Grazie Veronica, non so chi sei, ma so come ami.Veronica Tomassini

 

 

 

Post scriptum: che cosa ascolterei con questo libro.

Non è per niente facile. La prima cosa che mi viene in mente è Archie Shepp, pensa un po’… sarà per il suono aggressivo, spezzato, ma anche caldo e controllato. Boh! L’importante in ogni caso è non aggiungere contenuto ansiogeno all’ambiente di lettura; e qui forse la black music rivoluzionaria degli anni sessanta non è il massimo della coerenza. Forse è meglio tentare di cogliere un lato in qualche modo romantico per questo amore neuro distonico… forse Skrjabin. Ecco, va già meglio: un pezzo di Skjabin per pianoforte, bisogna cercare nella discografia.

Ma dopo qualche decina di minuti ecco la soluzione. Come sempre viene da sola, per serendipità, mentre cerchi qualcos’altro. E’ Arnold Shȍemberg, e precisamente il suo Verklȁrte Nacht. Provare per credere… direi soprattutto dopo la lettura, con le luci spente e il sentimento acceso. Qui c’è il tardo romanticismo estremo e distonico, c’è il disarmonico annuncio della futura atonalità, ma c’è anche un sentimento d’amore intenso e doloroso. Insomma, c’è Sangue di cane, di Veronica Tomassini.

 

 

Condividi post
Repost0
25 marzo 2011 5 25 /03 /marzo /2011 10:04

Dear comrades,

                              posso inziare auspicando buone letture a tutti.

Leggere per dissentire, of course.

Considero il dissenso un sentimento più che un aBerlusconi-felice-072.JPGtteggaimento e sono convinto che solo questo sentimento permette oggi di mantenere intatta l'indipendenza.

Indipendenza della mente, of course.

Per noi occidentali del benessere infatti la principale minaccia ad una vita sana e serena è la dieta mediatica cui siamo sottoposti. Una dieta pesante, ansiogena e incivile. Lasciamoci perciò prendere dal sentimento del lettore dissidente e puntiamo a contrastare il flusso mediatico. Ecco, se il nostro blogging funzionerà, conto prossimamente di postare esperienze di lettura.

 

La lettura è una attività che presuppone un contrasto, la lettura non è passiva, è creativa, critica e formativa. Modella la coscienza, insomma fornisce alla nostra mente la forza dell'equilibrio emotivo.

L'equilibrio del dissenso, appunto.

 

 

Un saluto

Francesco

Condividi post
Repost0
25 marzo 2011 5 25 /03 /marzo /2011 09:44

Questo è il primo articolo del tuo blog. È stato creato automaticamente per aiutarti ad iniziare su OverBlog. Puoi modificarlo o eliminarlo attraverso la sezione "pubblica" dell'amministrazione del tuo blog.

Buon blogging

L'équipe di OverBlog

PS : per collegarti alla tua amministrazione appuntamento sul portale blog OverBlog

Condividi post
Repost0